Come ripensare l'etica del lavoro nell'era digitale? è questo il tema di fondo affrontato da Pekka Himanen nel saggio “L'etica hacker e lo spirito dell'età dell'informazione”, edito in Italia da Feltrinelli.
Una delle novità più importanti dei tempi recenti nel settore dell'Information Technology è costituita senza dubbio dall'affermarsi di un nuovo paradigma open source di sviluppo del software. Esso prevede, contestualmente al rilascio di un prodotto informatico, anche il rilascio del cosiddetto codice sorgente, rendendo così pubblica la struttura e il funzionamento interno del prodotto stesso e consentendo a chiunque, utilizzatore o programmatore, di verificare, correggere, modificare ed estendere il prodotto stesso.
Himanen considera questo passaggio come centrale per sviluppare le sue teorie. Viene infatti in questo modo favorita la libera circolazione di informazioni tra coloro che producono software, per professione o per diletto, determinando la nascita spontanea di comunità di sviluppatori, talora costituite da migliaia di persone. Da tali comunità, che hanno in Internet il naturale ecosistema in cui nascere e proliferare, proviene il software attualmente in grado di competere, sovente con maggior grado di affidabilità, con i prodotti delle grandi multinazionali del settore. L'esempio più significativo è certamente costituito dal sistema operativo Linux, ideato nel 1991 dallo studente finlandese Linus Torvalds e portato avanti con il contributo degli sviluppatori di tutto il mondo. Si tratta probabilmente del primo grande esempio di delocalizzazione spontanea di un processo di lavoro complesso.
Secondo l'Autore, proprio Linus Torvalds rappresenta il simbolo dell'etica hacker, così come già prefigurata da Steven Levy nel suo “Hackers: Heroes of the Computer Revolution” del 1984 e ripresa ed ampliata dal saggio di Himanen. L'idea di hacker che egli propone, tuttavia, è ben diversa da quella diffusa nella comune accezione. Assume, infatti, come vedremo, una connotazione positiva.
Già nella prefazione viene in questo senso operata una distinzione tra gli hackers, al lavoro dei quali si deve secondo Himanen la base tecnologica della nostra nuova società - in particolare Internet e il Web - e i crackers, criminali informatici come quelli che sviluppano virus o penetrano in sistemi protetti per commettere danni.
Internet così com'è conosciuta ed utilizzata oggi è per l'Autore un prodotto della cultura hacker. Creata originariamente circa trent'anni fa da un'idea del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti come infrastruttura di comunicazione per scienziati e militari, Internet è stata trasformata dallo sforzo degli hackers nel medium che è oggi. La motivazione di coloro che vi hanno contribuito è stata quasi sempre quella di creare degli strumenti per un uso migliore e più divertente della Rete, secondo il principio che "la condivisione delle informazioni è un bene positivo di formidabile efficacia” e “ che sia un dovere etico condividere le loro competenze scrivendo software gratuito e facilitare l'accesso alle informazioni e alle risorse di calcolo ogniqualvolta sia possibile".
Saremmo in presenza, insomma, di un apparente paradosso. In un momento storico nel quale il concetto di proprietà è stato esteso anche alla produzione immateriale e al mondo intellettuale in una misura che non ha precedenti (si paventa persino un'estensione del “copyright” al genoma umano, codice informativo per eccellenza dei sistemi biologici), il progredire della tecnologia, che ha un impatto sempre più consistente sull'organizzazione delle comunità umane, è in gran parte dovuto al principio esattamente opposto della libera circolazione delle informazioni e alla loro condivisione.
Himanen descrive l'hacker come una persona estremamente appassionata del suo lavoro e convinta del suo valore intrinseco, essendo motivata più dall'idea di realizzare qualcosa di socialmente utile piuttosto che semplicemente “fare dei soldi” e, più in generale, come “un entusiasta di qualsiasi tipo nell'ambito della propria attività”. Pertanto, secondo Himanen, il concetto di etica hacker travalica i confini dell'universo informatico per divenire il segno di un “rapporto appassionato con il proprio lavoro”. In questo senso un'artista o un astronomo che inseguono le proprie inclinazioni piuttosto che il facile successo economico possono essere considerati hacker nell'accezione di Himanen.
Circa la definizione del ruolo sociale ed individuale del lavoro, Himanen contrappone il concetto di etica hacker a quello di etica protestante individuata circa un secolo fa da Max Weber nel suo “L'etica protestante e lo spirito del capitalismo”, come tratto distintivo di un nuovo modello di ethos nell'era della società digitale globalizzata.
Himanen descrive il sistema di valori dell'età industriale come diretta emanazione dell'etica del lavoro protestante, secondo la quale il lavoro è lo scopo principale della vita degli individui e, quindi, costituisce un dovere ed un fine in sé stesso. Egli afferma che questa visione è così capillarmente diffusa nella cultura occidentale da aver reso la centralità del lavoro e l'enfasi sui profitti assimilabili a veri e propri tratti distintivi della natura umana. I gravami di questa eredità culturale vengono illustrati da Himanen attraverso riferimenti che spaziano da Platone alla crisi dei rifugiati del Kosovo del 1999.
Il saggio è strutturato in tre parti. Un prologo di Linus Torvalds, che spiega in prima persona il sistema di valori alla base della sua personale attività, delineando le origini dell'etica hacker, la successiva esposizione di Himanen, e infine l'epilogo di Manuel Castells, sociologo e autore della trilogia “The Information Age: Economy, Society, and Culture” .
Himanen conclude il testo con alcune considerazioni. La rivoluzione dell'era dell'informazione ha riorganizzato in modo più pervasivo che in passato gli orari di lavoro e ora sollecita un approccio alla professione che sia più flessibile e consono ai ritmi individuali. La più importante fonte di produttività nelle imprese a produzione immateriale è la creatività e non è possibile, secondo Himanen, creare qualcosa di interessante sotto la pressione continua di scadenze pressanti o solo nell'intervallo dalle nove alle diciotto, dal lunedì al venerdì. Pertanto, anche solo per ragioni puramente economiche, è importante favorire un approccio al lavoro creativo e passionale.
Benché il profitto non sia la motivazione principale, molti hackers raggiungono anche il successo economico. I casi di Torvalds, ideatore di Linux, o di Steve Wozniak, ideatore e costruttore del primo personal computer (Apple I) sono indicativi. E posto che lo spirito di creatività ed innovazione costituisce il carburante principale del fenomeno hacker, il significato economico e sociale di questo nuovo modo di interpretare il ruolo professionale avrà un impatto sempre maggiore su un mondo guidato in maniera sempre più netta dalla tecnologia.
Tuttavia ne “L'etica hacker” c'è un messaggio più articolato del semplice “fai quello che ti piace e il denaro sarà una conseguenza”. Il saggio di Himanen offre un nuovo attraente paradigma per come ciascuno di noi può porsi in relazione all'attività professionale che svolge. è un paradigma che sta già ridefinendo la natura delle nostre comunità, della nostra società e della nostra economia. Il mondo sta cambiando ed il saggio di Himanen offre alcuni strumenti di comprensione di questo cambiamento.
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